In ogni regione della nostra Penisola c’è almeno una specialità fritta. Ma c’è sempre qualcuno che esclama, il fritto no! E il fegato? E poi colesterolo, acidità di stomaco e chi più ne ha più ne metta … In Italia, più di ogni altro paese persiste l’irrazionale convinzione che molti alimenti siano dannosi per il fegato e il fritto più di tutti.
Infatti al nostro fegato non arrivano gli alimenti tali e quali, ma i singoli principi nutritivi nei quali i cibi vengono scomposti durante il processo digestivo e quindi poco interessa a questo organo in quale modo sino stati preparati oppure in quali alimenti erano contenuti i grassi, le proteine e gli zuccheri da metabolizzare.
Semmai è la quantità che incide: gli eccessi alimentari costringono infatti il povero fegato a un superlavoro continuo, e le uniche cose che lo danneggiano per davvero sono: le malattie virali (epatite C), i farmaci, l’abuso di alcool e di bevande alcaloidi.
Ma allora come mai dopo aver mangiato qualcosa di fritto si avverte un senso di pesantezza e di stanchezza?
Per usare un gioco di parole, si potrebbe dire che “fa male un fritto fatto male“, perché sono dannose per il fegato le sostanze di ossidazione che si formano nell’olio quando è usato troppo a lungo oppure subisce ripetuti riscaldamenti. E l’ossidazione avviene anche negli alimenti fritti quando si conservano a lungo in attesa di consumarli o, peggio ancora, se vengono riscaldati come avviene nelle cattive rosticcerie. Non solo, anche la temperatura dell’olio influisce sulla qualità della frittura. Oltre i 200 °C l’olio si degrada e per questo la temperatura di frittura deve essere mantenuta sui 180 °C.
A temperature più basse invece gli alimenti si impregnano d’olio, mentre a temperature superiori si forma l’acroleina una sostanza tossica che si crea quando i grasso brucia, producendo un fumo bianco troppo a lungo.
Contrariamente a quello che può sembrare, l’olio più adatto allo scopo, che si degrada meno facilmente, è quello d’oliva, grazie al suo alto contenuto di sostanze antiossidanti che lo proteggono dagli effetti negativi del calore.
Al secondo posto viene l’olio di arachide, che è abbastanza stabile. Meno adatti alla frittura sono l’olio di mais e quello di girasole, che hanno un punto di fumo più basso.
Si frigge in tutto il mondo ed è difficile che chi è addetto alla friggitrice tenga conto di tutte queste considerazioni, ma non sarà certo il supplì mangiato al volo in un momento di golosità che ci rovinerà la salute.
La frittura fatta in casa con un buon olio (abbondante!) e consumata subito dopo resta la migliore e non comporta rischi per il nostro organismo, purché non si ecceda nelle quantità.
Resta il fatto che il fritto è comunque calorico e non è certo da mangiare tutti i giorni; possiamo concedercelo una volta a settimana senza rischi per la salute e per la linea.
Ma una volta terminata la frittura, che fare dell’olio? L’unica cosa da non fare è quella di gettare l’olio negli scarichi domestici perché l’olio non è biodegradabile! Quando si sarà raffreddato bisognerà travasarlo in un contenitore e smaltirlo secondo le indicazioni fornite dal vostro Comune.